Nicola's shared items

mercoledì 9 gennaio 2008

Lo scafandro e la farfalla

"Mi sveglio e sono tutti intorno a me, i medici mi dicono che sono stato venti giorni in coma. Ho una sindrome che si chiama «locked-in»: sono chiuso dentro a un corpo che non risponde come dentro a uno scafandro. Sono nella stanza di un ospedale: appesi alle pareti i disegni dei miei figli, le fotografie delle persone che mi vogliono bene, le cartoline degli amici. Un giorno mi mettono su una sedia a rotelle e mi portano su un grande terrazzo: sono nell’ospedale di una città marittima che si chiama Berck. Poco alla volta ricordo cosa è successo: era l’8 dicembre 1995, ero stato a prendere mio figlio grande in campagna e mentre guidavo per tornare in città mi sono sentito male. Mi hanno portato qui. Muovo soltanto la palpebra sinistra e comunico con quella: un battito per dire sì, due per dire no. E se mi recitano l’alfabeto e io chiudo la palpebra in corrispondenza di una lettera, riesco a dire delle parole e anche delle frasi. Non camminerò più, non mi muoverò più, non mangerò più. Ma ricordo tutto benissimo. I sapori, gli odori, le persone che ho amato e i posti che ho visto. I bambini vengono a trovarmi, asciugano con un fazzoletto il filo di bava che mi esce dalla bocca, mi spingono la sedia a rotelle sul terrazzo. Un giorno mi vedo riflesso in una vetrina: sono così brutto che mi viene da ridere. Ho un occhio chiuso e uno spalancato, la bocca storta, il collo piegato. Gli amici mi telefonano e mi scrivono. Io sento tutto, e con l’unico occhio aperto leggo da solo se mi tengono il foglio aperto davanti. Ero un giornalista conosciuto, avevo un bel lavoro, una bella famiglia. Ero un po’ collerico e avevo una passione per i libri e per la buona tavola. Adesso sono un vegetale: qualcuno ora mi chiama così. Io preferisco definirmi un mutante."
Il film di Julian Schnabel Lo scafandro e la farfalla è tratto dal libro scritto col battito della palpebra sinistra da Jean-Dominique Bauby, il caporedattore di Elle France che fu colpito da un ictus a quarantaquattro anni. È girato in soggettiva: vedi il mondo dalla prospettiva di Jean-Do, sei lui. Sei tu in quel letto d’ospedale con i tubi delle sonde che ti escono da ogni parte del corpo, sei tu che imprechi mentalmente perché un infermiere ti ha spento la televisione nel bel mezzo della partita, sei tu mentre ti fanno il bagno una volta alla settimana e un po’ godi un po’ ti vergogni.
Bisognerebbe vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo...

Nessun commento: